Oggi viviamo nella Knowledge & Learning society, cioè nella società della conoscenza e dell’apprendimento, dove tutto sembra focalizzarsi sull’apprendere nuovi criteri, strategie, processi e strumenti, nuovi stili di vita che ci dovrebbero portare a una più consapevole cittadinanza come persone che vivono una “vita liquida”, in una società dalla modernità liquida (Z. Bauman 2005).
Il forte aumento del grado di complessità nella nostra vita quotidiana ha reso sempre più difficile e impegnativa la vita delle persone a tutti i livelli e in ogni contesto personale e professionale. Una nuova emergenza che appare delinearsi negli ultimi anni, anche in conseguenza della grave e perdurante crisi economica e sociale che stiamo vivendo, è quella della “gestione del cambiamento”. L’impatto generato dall’avvento del digitale e della globalizzazione, ha fatto si che tutti i fenomeni sociali siano attraversati da un flusso continuo e per certi versi inarrestabile di cambiamento.
Cambiare, si sa, non è propriamente un’attività che gli esseri umani prediligono, anche se la storia dell’umanità ha evidenziato un costante progresso di evoluzione dovuto a un miglioramento e cambiamento continui che ci accompagnano fin dalla notte dei tempi. Di certo però la velocità del cambiamento è diventata una variabile cruciale per il cambiamento, fino a qualche decennio fa il cambiamento era senza dubbio più lento, graduale, sostenibile, ma oggi sta diventando frenetico, imprevedibile, molto più difficile da sostenere. La forza delle abitudini s’impadronisce spesso dei processi cognitivi, emozionali e comportamentali delle persone, portandole verso il consolidamento di valori, atteggiamenti, bisogni, obiettivi, strategie, modi di lavorare e di pensare, verso il tentativo di mantenere i propri conquistati stili di vita e grado di benessere. Questo effetto di ottenuta stabilità fa si che le persone gratificate dai risultati ottenuti, si collochino molto più gradevolmente in una forma di “status quo”, piuttosto che affrontare o predisporsi a vivere, affrontare e gestire il cambiamento. La conseguenza più generale diventa allora quella di percepire il cambiamento come un aspetto che si deve subire anziché affrontare, o che si deve sopportare anziché gestire.
Potremmo anche dire che le persone come sinonimo di cambiamento pensano spesso a “problema o crisi”, a qualcosa che modifica controvoglia alcuni punti di riferimento e alcune abitudini che permettono di avere una vita strutturata, sicura e con bassi margini d’incertezza. Il cambiamento spesso fa paura perché favorisce l’insorgenza, nelle persone, di idee o scenari sconosciuti o non prevedibili o persino pessimistici, riguardanti ciò che ci si potrà trovare a vivere dopo che il cambiamento sarà avvenuto. Dobbiamo avere la consapevolezza che il cambiamento è una condizione molto più normale, naturale di ciò che crediamo, infatti anche biologicamente siamo sempre in costante cambiamento anche quando non ne siamo così consapevoli. Cambiare significa darsi l’opportunità di migliorarsi e crescere, avere fiducia nel saper evolvere.